Il mio primo viaggio a Zanzibar, la perla dell’Oceano Indiano

0

Sono le 9 del mattino quando il nostro volo Merdiana Fly, facendosi largo tra qualche strato poco spesso di nubi,  atterra sulla pista di Stone Town: eccoci a Zanzibar!

Ciò che ci si staglia davanti, appena scesi dall’aereo, è un piccolo aeroporto piuttosto spartano che con la scritta “Karibuni Zanzibar”, ci dà il benvenuto. Ben presto, quello spazio così ristretto si colma di passeggeri rumorosi e spossati, impazienti di completare le solite noiose trafile burocratiche (va pagato un visto d’entrata di circa 50 euro); l’operazione dura una ventina di minuti, giusto il tempo di ritirare i propri bagagli e si parte, fuori dai cancelli,  alla scoperta di un paese tutto nuovo e dal fascino incredibile.

SAM_2020

Soggiorniamo a Kendwa, nella zona nord-ovest dell’isola; la scelta della struttura (l’Eden Village Kenwa Beach Resort) non è stata facile, inizialmente, ma è risultata piuttosto scontata dopo aver scoperto che quell’area è l’unica di Zanzibar a risentire in maniera meno intensa del fenomeno delle maree.
La strada per arrivare al villaggio è piuttosto lunga ma il tempo vola visto lo spettacolo che ci si presenta fuori dal finestrino: natura rigogliosa e squarci di vita quotidiana in cui i veri protagonisti sono le risate e le grida dei bambini che gironzolano per le strade, i muggiti dei bovini che vagabondano un po’ ovunque e i colori dei mercatini improvvisati sull’orlo delle vie.

Ad aspettarci, una volta entrati dal portone della struttura, troviamo un gruppo di Masai che, cantando e danzando con i loro abiti tipici, ci danno, a loro modo, il benvenuto.
Un’ accoglienza che riscontreremo poi in ogni saluto mattutino, in ogni gesto cordiale, in ogni sguardo e sorriso che, quelle alte figure scure ornate di rosso,  ci regaleranno per il resto della nostra permanenza a Zanzibar.

SAM_2025

Il resort è molto semplice, ben inserito all’interno del paesaggio circostante; una lunga spiaggia bianca lo separa dall’entrata al mare che, a differenza di altre aree del mondo, non è qui privatizzabile.
Il tempo non è dei migliori, il sole fatica a fare capolino e questo, a volte, non rende giustizia alle infinite tonalità dell’Oceano Indiano.
Una vasta tavola turchese, increspata da onde spumeggianti che si infrangono gioiose a riva. La sabbia corallina, quasi accecante, cela piccoli tesori: conchiglie,  granchietti e pezzetti di reef, trasportati dalla marea nel corso del tempo.
Alte palme costeggiano la struttura che, immersa in un giardino tropicale, quasi pare parte integrante dell’ambiente zanzibarino.

Ma ciò che ci fa davvero sgranare gli occhi, ciò che ci stupisce ogni sera, al calar del sole, è l’indescrivibile tavolozza di tinte calde e avvolgenti che dipinge il cielo e l’orizzonte. Tramonti romantici, da cartolina; di quelli che solo i versi dei migliori poeti potrebbero descrivere.

SAM_2100

Ci è bastato un passo, oltre quella linea immaginaria che delimita la proprietà privata del resort, costantemente sorvegliata dai Masai, per ritrovarci improvvisamente assaliti da quelli che, comunemente, vengono chiamati “Beach Boys“; “Ragazzi di spiaggia”, personaggi dai nomi singolari ( “Negro per caso“, “Italia“, “King“), nomignoli di fantasia pensati appositamente per essere facilmente memorizzati da noi, i possibili aquirenti di gite ed escursioni che ognuno di loro, singolarmente o col proprio gruppo, cerca di vendirci in qualsiasi modo.
Inizialmente stressanti, pressanti e opprimenti, non ci permettono nemmeno una pessaggiata in tranquillità. Ci seguono fino al mare, insistono e, a volte, innervosiscono ma, in fin dei conti,  qualche uscita la vogliamo fare per forza e, visti i prezzi estremamente convenienti, decidiamo anche noi di affidarci a loro: azzardiamo… e facciamo bene!

Visitiamo Prison Island,un’isoletta nel mezzo dell’Oceano Indiano la quale deve il suo nome ad un triste passato che la vedeva sede di un’antica prigione di schiavi.
Vi sbarchiamo dopo circa 20 minuti di navigazione e vi scorgiamo un reale gioiellino! L’ambiente delle carceri è molto suggestivo, l’atmosfera ne riesente ma basta uno sguardo verso il mare per ritrovare la serenità.
Serenità che diventa entusiasmo quando scopriamo la vera attrazione dell’isola: un piccolo allevamento di tartarughe giganti! Gli animali se ne stanno placidi in acluni recinti dai quali possono tranquillamente uscirsene così da passeggiare lentamente tra i vialetti insieme a noi, incuriositi visitatori. Le accarezziamo, ci giochiamo con rispetto e ammirazione e ci stupiamo di fronte al loro atteggiamento docile e pacato. Alcune sono giovani, piccole, altre sono dei veri e proprio colossi…addirittura di CENT’ANNI!

Ci spostiamo, successivamente, per il pranzo nell’incantevole Nakupena; una lingua di sabbia, lunga pochi metri che, come per magia, appare e scompare nel corso della giornata, inabissandosi e spuntando dall’acqua.
Viene organizzata per noi un’ottima grigliata di pesce fresco, da gustare rigorosamente seduti a terra, sotto comodi gazebi. Nuotiamo. Ci rilassiamo. Esploriamo i bellissimi fondali zanzibarini, volteggiando tra coralli colorati e pesci tropicali: che esperienza meravigliosa!

Imperdibile è poi l’escursione al giardino delle spezie…perchè spezie  vuol dire Zanzibar e Zanzibar è profumo di vaniglia, sapore di cannella, odore di zenzero e cardamomo. E’ palme svettanti, platani, erba limoncina. Un arcobalento di essenze, un overdose di aromi, passeggiando tra i sentieri di terra battuta guidati da un ragazzo locale, preparato e molto bravo con l’italiano.
Un’abbuffata di verde, una scorpacciata di natura incredibilmente concentrata.

Ma merita una visita anche l’insolita capitale: Ston Town. Una città caotica, dai mille volti. Ricca di storia, tradizioni e contaminata da influssi differenti: la cultura indiana, quella araba e l’africana che si fondono in un intricato labrinto di stradine e viuzze che trovano sfogo nel grande e chiassoso mercato.
Un accalcarsi di bancarelle di ogni genere, di venditori su di giri che,schiamazzando, cercano di attirare la nostra attenzione. Frutta, verdura, oggettistica e pollame; carne cruda pendente dai soffitti, l’acre odore del pesce rancido e il belare di qualche povera capretta che, legata ad un rimorchio, va incontro al suo triste destino.
Ci sono poi i variopinti espositori di stoffe, tessuti e stole; un suonatore di flauto rallegra la situazione mentre il fumo dell’incenso ci appanna la vista. Camminiamo e i colori ci esplodono davanti, il profumo delle spezie ammalia le narici e l’atmosfera di Zanzibar ci rapisce sempre più.

Trascorriamo il tempo che ci rimane a Zanzibar tra chiacchiere con i Beach Boys, diventati ormai amici, e simpatici incontri con i bimbi locali; costantemente in cerca di pipi (caramelle in swahili) che regaliamo loro in abbondanza, ci guardano incuriositi, un po’ diffidenti e, un giorno, tentano addirittura di rubarci le ciabatte.
Rimaniamo piacevolmente colpiti dalla popolazione zanzibarina; persone semplici ed estremamente cortesi. Sempre gioiose, allegre, lavorano cantando dimostrando una spensieratezza quasi surreale viste le difficili condizioni di vita. Ci affezioniamo ai loro volti sereni, ai loro sguardi dolci e al loro “Hakuna Matata“, un invito a vivere la vita senza fretta e preoccupazioni….qualcosa che noi dovremmo davvero imparare!

 

Federica, 30 anni, made in Friuli. Laureata in Scienze e Tecniche del Turismo Culturale. Travel addicted per nascita e travel blogger di mestiere, sono alla continua ricerca di nuove esperienze ed avventure da condividere.

Leave A Reply

Translate »
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: