Un’escursione ad Aswan non è una passeggiata!
Su per giù 400 chilometri separano la città egiziana dalle coste del Mar Rosso, un percorso di quasi 6 ore che dal litorale di Marsa Alam porta alla visita di una delle dighe più famose del mondo, passando per l’antico tempio di Edfu e quello di Philae, sull’isola di Agilkia.
Ma ne vale la pena? Assolutamente sì!
Escursione ad Aswan: Edfu, la diga e il tempio di Philae
La mattina dell’escursione ad Aswan la sveglia suona presto!
Prima che il sole sorga è necessario mettersi già in marcia perchè la strada è lunga, le vie dissestate e il tempo a disposizione (ahimé!) è poco.
Superato il piccolo centro di Marsa Alam – quattro strade in croce con palazzine in costruzione in ogni dove – ci si inoltra nel deserto più puro: a destra, il nulla totale e a sinistra…esattamente lo stesso!
Si macinano chilometri su chilometri immersi tra le rocce aride e il paesaggio ocra e desolato dell’entroterra egiziano con la sola possibilità di intravedere qualche dromedario, presagio di un gruppo di beduini nelle vicinanze, o qualche arbusto rinsecchito.
La prima tappa, dopo circa tre ore, è l’antico tempio di Edfu, luogo di culto dedicato ad Horus, il dio falco, la cui statua sorveglia l’ingresso al sito.
La nuova costruzione, risalente alla dinastia tolemaica, fu fatta emergere dalla sabbia che la ricopriva alla fine dell’800, rivelando un complesso perfettamente conservato, parti del quale sono ancora sepolte e in fase di scoperta.
Mi trovo davanti al secondo tempio per estensione dopo quello di Karnak, ad un portale gigantesco, a piloni e colonne altissime, totalmente ricoperte di geroglifici. Mi perdo ad osservare quei simbolini, così strani a volte eppure ricchi di significato, che la guida egittologa ci aiuta a interpretare.
Qua e là qualche angolino conserva tutt’ora, sorprendentemente, le pennellate dei colori originari mentre le sale, sempre più piccole e buie, sono incastonate una nell’altra proprio come in un sistema di matriosche.
Si raggiunge infine il naos, la cella più interna, quella che veniva considerata la casa del dio, completamente avvolta nell’oscurità.
Il sole che picchia in testa non aiuta a contrastare la stanchezza della levataccia ma chi si ferma è perduto: è tempo di rimettersi a bordo e partire!
Man mano che ci si avvicina ad Aswan, nelle restanti 3 ore di tragitto, il paesaggio fuori dal finestrino inizia a cambiare lentamente. L’influenza del Nilo si intravede già a distanza, con i primi ciuffetti verdi sul ciglio delle strade ma esplode letteralmente lungo le sponde del fiume, dando vita a veri e propri boschetti di manghi, file di palme da dattero e campi coltivati.
Quasi come fossero scavati nella roccia stessa, gli insediamenti nubiani anticipano il centro urbano: villaggi colorati, in cui la gente trascorre una vita semplice, fatta di agricoltura e allevamento e in cui il principale mezzo di trasporto è l’asinello (ce ne sono ovunque!!!).
Aswan si presenta come un città decisamente moderna, con ristoranti, negozi di elettronica e abbigliamento.
Non mancano i palazzoni in stile occidentale, spesso sede di grosse aziende e compagnie estere ed il classico traffico strombazzante tipico dell’Africa (e non solo!), in cui la segnaletica viene ignorata e il codice stradale è soltanto un’optional.
Dopo pranzo si procede verso la diga di Aswan, la seconda tappa.
L’Alta Diga – la più recente e successiva alla Bassa Diga – è un vero orgoglio per la città, sorvegliata a vista da commandi di militari armati.
L’opera realizzata, inaugurata nel 1970, è qualcosa di immenso: lunga 3600 metri e larga fino a 40 metri, ha un’altezza di ben 111 metri per un volume complessivo di 43 milioni di metri cubi.
Inutile dire che la sua potenza è incredibile e con addirittura 12 generatori è in grado di fornire corrente a tutta la valle del Nilo.
Dalla parte opposta si apre invece il Lago Nasser (dal nome del presidente Gamal Abdel Nasser), il bacino artificiale sorto come conseguenza alla diga e ampio addirittura 6.000 km².
Il mio sguardo vaga disorientato su quelle distese d’acqua infinite che quasi stonano con l’idea dell’Egitto arido e desertico che ho stereotipato in mente.
Per conquistare l’ultima tappa dell’escursione ad Aswan bisogna poi raggiungere un porticciolo da cui salpano i taxi d’acqua che, navigando il Nilo, collegano la terraferma alle isolette circostanti.
Pochi minuti di percorso, costeggiando grosse formazioni rocciose, bastano ad emozionare il viaggiatore più sensibile quello che, come me, è in grado di rendersi conto di galleggiare proprio lì, dove migliaia di anni fa transitarono anche i faraoni.
Il tempio di Iside, o di Philae, prende il nome dall’isola su cui da principio era collocato; poi, con l’innalzamento del livello dell’acqua del Nilo, si sentì la necessità di spostarlo sulla vicina Agilkia dove ad oggi ancora si trova.
Il complicatissimo “traslocato” fu possibile grazie all’aiuto dell’UNESCO e ad una meticolosa opera di numerazione dei singoli pezzi che, una volta smontati, furono poi rimessi insieme come i tasselli di un puzzle.
E quanto mi è piaciuto questo gioiellino!
Il tempio è più piccolo e contenuto di quelli che ho visto in precedenza qui in Egitto ma è forse proprio questo suo senso di intimità a colpirmi…oltre che la vista mozzafiato, ovviamente!
Anch’esso di epoca tolemaica è costituito da un ingresso a 32 colonne, 2 piloni e un cortile interno mentre restano soltanto i basamenti dei due obelischi di 16 metri.
Le mura interne, fittamente ricoperte di geroglifici, mostrano ancora i segni che l’acqua lasciò durante l’inondazione mentre le incisioni fatte dai primi cristiani, su di uno strato di fango ormai disciolto, sono completamente scomparse.
All’esterno, leggermente distaccato, sorge infine il Chiosco di Traiano che, rimasto incompiuto nelle decorazioni, fu completato dall’imperatore romano Traiano da cui prende il nome.
La sua vera funzione è ignota ma si ipotizza che fosse utilizzato come stazione di sosta della barca sacra di Iside nel corso della processione.